Dalla seconda metà degli anni 2000, il consumo della televisione “tradizionale” ha iniziato a diminuire, soprattutto da parte della percentuale più giovane della popolazione. Questo trend, affiancato da un maggiore coinvolgimento di questo pubblico con i social media e i video online, ha fatto emergere la prima generazione dei cosiddetti
influencers. Analizzando la definizione di quest’ultimo termine (
un tipo di marketing in cui l'attenzione è posta sulle persone influenti più che sul mercato di riferimento nel suo complesso) è facile rintracciare dinamiche pari a quelle dello
star system classico, ma ci sono delle dovute differenze che è opportuno rimarcare.
Il primo approccio a questa dinamica di comunicazione è rintracciabile in un classico del settore, The People's Choice di Lazarsfeld e Katz, uno studio del 1940 sulla comunicazione politica. All’interno del saggio è presente il modello noto come
Multistep flow model (nell'immagine a fine paragrafo), in cui si afferma che la maggior parte delle persone è influenzata, nel rapporto con i mass media, dal contesto in cui ne fruiscono e dagli opinion leader. Ovviamente esistono numerose altre variabili, ma il modello così semplificato rimane relativamente valido e di facile comprensione.
Essendo questa teoria collaudata da tempo, non è difficile intuire come la categoria degli influencer abbia potuto proliferare abbondantemente online, grazie alle dinamiche proprie del
Web 2.0 ed alla diffusione dei Social Network. Nel tentativo di raggiungere un pubblico più giovane infatti, i brand hanno iniziato a collaborare con numerose di queste figure, sfruttandone la notorietà e la fan base.
Analizzando il panorama digitale, YouTube è stato il giocatore dominante in questo spazio per quasi un decennio, affiancato da piattaforme minori come blog e forum. Dal 2015 però, Instagram ha iniziato a ritagliarsi un pezzo importante del settore degli influencer. Infatti, mentre sempre più Instagrammers hanno iniziato a pubblicare foto uniche e coltivare comunità di nicchia, lo spettro di questi “imprenditori digitali”, con cui i marchi hanno man mano collaborato, ha iniziato ad espandersi ed aumentare la propria eterogeneità. I brand più innovativi, seguendo il modello commerciale della “coda lunga” (
i ricavi vengono ottenuti non solo con la vendita di molte unità di pochi oggetti, ma anche vendendo pochissime unità di tantissimi oggetti diversi) hanno saputo anticipare questa dinamica, riuscendo da early adopters a cavalcare la cresta dell’onda, distanziandosi dalla concorrenza e posizionandosi in maniera dominante dentro un mercato che si sarebbe saturato nel giro di pochi anni.
In cosa differisce questo modello rispetto ad un marketing di impronta più classica? Riprendendo i concetti di fidelizzazione, personalizzazione e rapporto 1:1, tale strategia permette di oltrepassare parzialmente quel filtro di titubanza proprio della comunicazione commerciale standard, verticale e asimmetrica. L’influencer tipo, per come si è sviluppato negli ultimi anni, rappresenta un canale di comunicazione privilegiato, in quanto considerato dagli utenti al pari di un “amico”, quindi maggiormente degno della loro fiducia.
Analizzando i dati, il marketing dei leader d’opinione, grandi e piccoli, ha visto una continua crescita negli ultimi cinque anni. Secondo le stime di
Business Insider Intelligence, basate su dati Mediakix, il mercato degli influencer vale attualmente $ 8 miliardi (circa 7 miliardi di euro). Nel corso dei prossimi due anni dovrebbe ancora crescere arrivando a toccare, entro il 2022, la soglia di $15 miliardi (circa 13,4 miliardi di euro). A guidare la classifica troviamo profili con un numero di fan nell’ordine del centinaio di milioni, su cui la sponsorizzazione di un singolo post
può anche sorpassare il milione di dollari.
Le stime di mercato in crescita sono positive in senso assoluto, ma potrebbero non essere sufficienti per avere un quadro di insieme. Perché?