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Inbound marketing: a cosa stare attenti

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Con l’aumentare delle possibilità offerte dalla progressiva digitalizzazione dei media, le strategie di marketing si sono evolute esponenzialmente. Se nell’outbound marketing il budget in un certo senso rispecchiava in modo diretto le possibili strategie da intraprendere e la scelta dei mezzi di comunicazione, oggi con dei contenuti di qualità è possibile ottenere, a prescindere dalle risorse economiche investite, risultati molto migliori.

Abbiamo già pubblicato sul blog un articolo dedicato al modello dell’inbound marketing, ma oggi andremo a vedere quali sono le principali insidie che possono comparire durante la sua applicazione.

Una SEO di prima qualità

Quando si parla di digital marketing l’acronimo SEO è regolarmente uno dei primi a comparire. Questa sigla, che identifica il processo di Search Engine Optimization, racchiude al proprio interno tutte quelle tecniche di scrittura, pubblicazione e collegamento di contenuti online ideate per migliorare il posizionamento di questi ultimi nei risultati di ricerca Google.

La SEO di per sé può essere considerata una “scienza esatta” fino ad un certo punto, ma non conviene sottovalutarla per un semplice motivo: se i contenuti prodotti non riescono ad intercettare l’utente, tutto il lavoro svolto non porterà alcun risultato. Nell’istante in cui un utente inconsapevole digita la sua richiesta nella barra di ricerca Google, una strategia di inbound marketing può avere inizio: quale modo migliore per cominciare se non con il proprio sito nelle prime posizioni (o ancora meglio, nel Box di risposta Google)?

Una SEO di prima qualità

Per massimizzare i risultati di una campagna di inbound marketing è fondamentale una comunicazione continua e trasparente tra tutti i team coinvolti nel processo. Rispetto al precedente modello outbound la condivisione dei materiali e della strategia non permette più ai marketers e ai sales di lavorare “a compartimenti stagni”, e forza tutti i partecipanti ad un confronto costante.

Una carenza di comunicazione in questo senso mette a repentaglio la riuscita di una campagna inbound, ma è possibile tramite una serie di accorgimenti utili limitare le possibilità che questo accada:

- Organizzazione di meeting periodici, per aggiornarsi sulle novità e sull’avanzamento della campagna;
- Definizione di obiettivi chiari e di ruoli ben definiti per ciascun partecipante
- Selezione accurata delle strategie per tutte le fasi chiave dell’inbound (Attract, Convert, Close, Delight);
- Condivisione delle attività operative, per evitare incomprensioni e inefficienze;
- Gestione comune dei dati (in base alle competenze di ogni team).

L’inbound marketing nasce come un concetto di marketing “a tutto tondo”, e perché questo funzioni è necessario replicare lo stesso approccio anche dal lato aziendale.

Non lasciar perdere del tutto l’outbound

L’inbound marketing è indubbiamente la soluzione migliore quando si lavora in ottica di “alta qualità”, ma per alcune soluzioni mettere al centro dell’attenzione l’azienda e i prodotti/servizi può ancora rivelarsi utile.

Campagne push e di interruzione, se sviluppate nel modo giusto, riescono a giustificare i classici difetti (rischio di infastidire, scarsa attenzione, costi elevati) con alcuni punti a favore, da valutare bene. Un esempio pratico potrebbe essere la pubblicizzazione di un contenuto dedicato ad un target di età avanzata: la comunicazione outbound su reti televisive e radio può essere il modo più diretto per raggiungere questo tipo di potenziale clientela, e rappresenta il primo passo verso la costruzione di una maggiore brand awareness. Potendo targettizzare con minore precisione i destinatari dei messaggi sui media tradizionali, talvolta l’unico modo per raggiungerli è proprio attraverso una comunicazione outbound del genere.

Per una corretta riuscita di queste strategie le parole chiave sono “discrezione” e “attrattività”; per forza di cose sarà utile integrare quanto fatto a dinamiche inbound, una volta che il cliente procede nel customer journey designato.

Attenzione alle buyer personas

Abbiamo già parlato in passato delle buyer personas (note anche come marketing personas); nell’inbound marketing questi profili immaginari permettono di ridurre il livello di astrazione e guidare la creazione dei contenuti in modo più mirato.

Per costruire una buyer persona quanto più accurata possibile il primo step è definire al meglio l’offerta del bene/servizio da promuovere. Senza una conoscenza profonda di quanto proposto e dell’ambito di riferimento non è possibile creare alcun modello verosimile. Secondariamente, l’accumulo e lo studio dei dati può dare indicazioni di massima su quelle che sono le variabili più note: età, genere, interessi, potere d’acquisto, geolocalizzazione.

Dall’insieme di queste conoscenze è dunque possibile creare una serie di modelli “stereotipati”, su cui basare le proprie campagne. Vista la grande attenzione che l’inbound marketing pone verso il cliente, sbagliare questo passaggio può portare ad una serie di ripercussioni negative: una creatività con un linguaggio fuori luogo, la scelta di un’estetica troppo spinta, l'utilizzo di canali comunicativi sbagliati e così via. Trattandosi di strategie di comunicazione ad alta qualità, il cadere in errore su una variabile è in grado di minare l’efficienza dell’intero processo.

Che si tratti di SEO, approcci alla strategia o creatività, per ottenere i massimi risultati dal marketing inbound non è sufficiente porre il cliente al centro dell’attenzione. Le variabili che ruotano intorno a questa figura sono, una ad una, strettamente collegate tra loro e in grado di influire sul risultato finale.
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